Ho ritenuto opportuno, quale introduzione alle vicende narrate dal Maresciallo Leonardo Gentile in questo volume, procedere alla descrizione dell’evoluzione della Guardia di Finanza e della crescita ed espansione del contrabbando, con particolare riferimento alla diffusione del fenomeno in Sicilia, dal dopoguerra agli anni Ottanta.
Cosa s’intende quindi per contrabbando? L’etimologia della parola è abbastanza chiara poiché composta da: “contra”, cioè contro/contrario, e “bando”, cioè quel documento sul quale venivano riportate le leggi, gli editti ed altro, resi noti alla popolazione previa affissione o lettura a mezzo di banditori. In definitiva con tale termine s’individuava tutto ciò che risultava contrario al bando cioè alla legge.
In tempi successivi tale vocabolo venne sempre più utilizzato per definire l’azione illecita perpetrata da taluni soggetti allo scopo di sottrarre a tassazione quelle merci sottoposte dallo Stato a dazi doganali o fiscali. Tale fenomeno, noto nella nostra terra sin dalle invasioni barbariche, si svolgeva lungo i confini marittimi e terrestri, creando una grave minaccia all’economia perché sottraeva, come sottrae tutt’oggi, preziose e consistenti risorse economiche.
Ripercorrere la storia del contrabbando è un po’ come raccontare l’evoluzione della Guardia di Finanza che, in ogni tempo, si è trovata a contrastare tale pericoloso fenomeno.
Già all’atto della costituzione del Regno d’Italia, gli amministratori si trovarono ad affrontare il problema di tutelare le entrate del neocostituito Stato allo scopo di assicurare un costante gettito fiscale.
Il primo provvedimento fu di unificare, in un solo organismo, tutti i corpi che fino allora avevano assicurato la vigilanza doganale e confinaria negli stati preunitari e applicare una comune legge fiscale sulle entrate.
In tale ottica nel maggio del 1862 al Corpo fu dato un nuovo ordinamento e stabilita una comune denominazione, quella di “Guardie Doganali”. Tale definizione fu cambiata nel 1881 in “Corpo delle Guardie di Finanza”. Il personale in forza al citato organismo contava circa 14.000 unità, e il loro compito principale era quello di: “Impedire, reprimere e denunciare il contrabbando e qualsiasi contravvenzione e trasgressione alle leggi e ai regolamenti di finanza”; nonché vigilare per conto dello Stato sulla riscossione dei dazi di consumo e concorrere alla difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Il nuovo “Corpo”, nel frattempo ridenominato “Regia Guardia di Finanza”, proseguì nel tempo la sua attività adeguando la propria azione alle rinnovate tecniche introdotte dai malviventi, migliorando la propria organizzazione interna e lo “status” dei militari.
Verso la fine del ‘900, fu creato un cordone di vigilanza sul territorio costituito da una fitta rete di Brigate litoranee che impiegava il proprio personale nel pattugliamento delle coste.
Il fenomeno del contrabbando di T.L.E. (tabacchi lavorati esteri),
già in corso, si diffuse ulteriormente con l’arrivo delle truppe angloamericane che contribuirono al suo incremento. Fumare sigarette “straniere”, le cosiddette “bionde”, per il colore ambrato del tabacco, era diventato un simbolo di prestigio ed emancipazione sociale.
Tale commercio, che offriva l’opportunità di spostare ingenti quantitativi di merce con un rischio di perdita accettabile ed enormi guadagni, si sviluppò prevalentemente via mare. In un primo momento le sigarette erano occultate nei grossi transatlantici di linea che arrivavano dall’America del Nord e sbarcate prima di entrare nei porti di arrivo. In seguito furono utilizzate ex imbarcazioni militari o mercantili, le cosiddette ”navi madri”. I natanti
sostavano al limite delle acque territoriali e cedevano il loro carico inizialmente a piccole barche e, in seguito, a veloci natanti che lo portavano a terra.
È proprio in questa delicata fase che s’inseriva l’azione di contrasto della Guardia di Finanza, diretta a intercettare e sequestrare i carichi di “bionde”.
La lucrosa attività attirò grosse organizzazioni malavitose che investirono nell’affare enormi capitali, arrivando ad acquistare in proprio mercantili e grosse imbarcazioni.
In Sicilia i contrabbandieri, riuniti in una specie di società consortili, diedero alla mafia, che
già controllava tali traffici, la possibilità di fare un grande balzo in avanti e inserirsi nel mondo del crimine internazionale, assicurandosi più consistenti guadagni da reinvestire
in attività più o meno legali sul territorio. Un esempio tra tutti lo scempio edilizio di Palermo in cui i capitali, accumulati illegalmente, furono investiti nella costruzione indiscriminata
di edifici a danno del territorio e di splendidi ed antichi edifici “Liberty” che furono barbaramente demoliti. Nel corso degli anni Cinquanta le normali rotte del contrabbando
dei tabacchi diretti in Sicilia videro quali porti di partenza Tangeri (Marocco), Gibilterra (Spagna) e Malta. In seguito, furono scelti gli scali di Marsiglia (Francia) e Cipro, poi il traffico si spostò ancora utilizzando depositi clandestini ubicati lungo le coste jugoslave ed
albanesi. Nel corso degli anni Sessanta in Sicilia furono sequestrati diverse tonnellate di sigarette e numerose imbarcazioni. Per fermare “l’escalation criminale”, fu eseguito un intervento ordinativo del Corpo e introdotte nuove norme legislative in materia, tra le quali il
c.d. “diritto di inseguimento”.
I continui sequestri spinsero i contrabbandieri a trovare anche soluzioni alternative al trasporto via mare introducendo l’uso di autocarri, vagoni ferroviari e altri mezzi, occultando la merce o falsificando i documenti di viaggio.
Negli anni a seguire, in Sicilia emersero nuove e potenti organizzazioni mafiose con a capo le famiglie Bontade e Badalamenti, affiancate da associazioni criminali siculo-americane con diramazioni in Campania e Calabria.
Gli sbarchi avvenivano un po’ in tutta la Sicilia, ma con maggiore frequenza sulle coste sud-orientali dell’Isola, in particolare tra Capo Passero e Scoglitti, e lungo il litorale palermitano. In questo particolare momento la Legione di Palermo era diretta
dai Colonnelli: Rosario Patania (1.2.57/12.1.63); Luigi Pagliaro (13.1.63/30.6.65); Vittorio Vienna (1.7.65/31.8.65); Enzo Stanzani (1.9.65/27.6.67); Francesco Speciale 28.6.67/6.8.68); Nicola La Rocca (7.8.68/1.2.71); Giuliano Oliva (2.2.71/26.9.72); Claudio
Pollice (27.9.72/11.1.74); Mario Molinari (12.1.74/6.1.75); Silvestro Iannuzzi (7.1.75/1.8.79) e Michele Mola (2.8.79/19.10.80), che seguirono con particolare impegno lo sviluppo del fenomeno.
Nell’ambiente criminale cittadino erano emersi e si erano imposti tali: Spataro Tommaso, detto “Masino”, capo indiscusso del quartiere Kalsa (noto per l’alta densità mafiosa), e il fratello Giuseppe; Buccafusca Girolamo, detto “Momo”, e i figli, Vincenzo detto “Cecè”
e Antonino detto “u liuni”; Lo Nardo Antonio e il fratello Carlo e Genzardi Giuseppe. Tutti i membri di queste famiglie collaboravano tra loro nella gestione del contrabbando locale anche perché legati da vincoli di amicizia in quanto tutti erano cresciuti nello stesso quartiere. Vi erano poi i Savoca (fratelli e cugini) nativi di Lampedusa, tra i quali il più pericoloso era Giuseppe detto “Pinuzzu”, La Malfa Francesco, La Vardera Pietro, Adelfio Francesco, Crisà Diego, Lo Nigro Cosimo (storico armatore di pescherecci attraccati alla “Cala”, utilizzati per il trasporto degli scatoloni di tabacchi), i componenti della famiglia di Vernengo Pietro, Tinnirello Gaspare, La Mattina Nunzio (ucciso in un regolamento
di conti), ed i fratelli Ficarra Antonino e Filippo detto “Fifiddu”.
Negli anni Ottanta molti di questi personaggi fecero il salto di qualità, inserendosi nel traffico internazionale di droga, mercato ben più ricco di quello del contrabbando
di sigarette.Il Prefetto dell’epoca, Giovanni Ravalli, al fine di porre un freno a questo dilagante fenomeno convocò un “summit” con le forze di polizia nel corso del
quale si decise di inviare “al confine” i vari capi dell’organizzazione che furono smistati in Puglia e Calabria. Ciò, alla fine, si rivelò poco funzionale in quanto, nei posti dove arrivarono, i contrabbandieri crearono nuove reti di traffici illeciti e ampliarono i collegamenti facendo accordi con la malavita jugoslava, albanese e greca.
Fu necessario, quindi, porre in campo nuove e diverse strategie per frenare il crescente sviluppo del contrabbando.
ll traffico via mare fu contrastato efficacemente costituendo vari dispositivi operativi. Nacquero le stazioni radiogoniometriche per localizzare le emittenti radio dei contrabbandieri, dei radar mobili con il compito di intercettare le imbarcazioni sospette che stazionavano al largo e dei “centri di ascolto” per intercettare le comunicazioni
radio delle navi contrabbandiere.
Il dispositivo di contrasto si avvalse, per il costante pattugliamento aereo, marittimo e terrestre, del supporto di bimotori C. 45 Beechcraft (controlli ad ampio raggio); degli elicotteri NH 500 e A.B. 47 G2, facenti capo alla neo costituita Sezione Aerea di Palermo;
delle unità facenti capo alle Sezioni Operative e Squadriglie Navali e delle Sezioni e Nuclei Mobili (di Compagnie e Tenenze) dotati d’idonei automezzi con targhe di copertura. Per avere un quadro generale dei malviventi operanti sul territorio fu istituito uno specifico
schedario ove confluivano i dati, i collegamenti tra i vari membri delle organizzazioni, le abitudini e i mezzi materiali ed economici nella disponibilità dei soggetti “attenzionati”.
Fu adeguato il dispositivo di “intelligence” non basato solo sugli informatori locali assoldati negli ambienti contrabbandieri, ma supportato da una rete informativa autonoma del Corpo, palese e occulta, dislocata presso tutti i comandi di Legione, con il compito
di raccogliere notizie e informazioni anche in ambito internazionale.
Gli uffici preposti alla trasmissione di dati sensibili ottennero il titolo di “area riservata”, con
accesso limitato al solo personale addetto. Le informazioni erano scambiate
utilizzando sistemi particolari e, se necessario, crittografate anche attraverso la nota macchina ”Enigma”, già assegnata al Corpo alla fine degli anni Cinquanta.
Grazie all’introduzione di questi accorgimenti, i successi non si fecero attendere e nella rete del Corpo finirono numerosi soggetti, ingenti quantitativi di sigarette, natanti e automezzi. Una progressiva “escalation” di positive operazioni che in poco più di un decennio portò a una drastica riduzione del fenomeno che, a causa di ciò, alla fine degli anni Ottanta si spostò sulle coste adriatiche. Per ottenere questi apprezzabili risultati, però, non furono sufficienti le tecnologie e i nuovi piani operativi, ma l’integrazione con i
vecchi sistemi d’indagine, l’impiego di particolari “segugi”, uomini che mettendo a rischio la propria incolumità seguivano le tracce dei contrabbandieri e dei loro traffici non mollandoli fino a quando “la preda” non veniva catturata.
Uno di questi fu il Finanziere Leonardo Gentile, un uomo dall’aria mite che sapeva inserirsi, capire il mondo dei contrabbandieri e sfruttare ogni loro debolezza per poi colpirli duramente.
Gli episodi, solo alcuni tra i tanti della sua lunga carriera, testimoniano il suo operato e forniscono un interessante spaccato di una Sicilia oppressa dal malaffare.
S. Ten. (r.cpl.) Cav. Michele Nigro