L’opera prima di Loretta Biundo è un romanzo moderno che affronta vari temi di estrema attualità: la disabilità mentale - la famiglia - la fedeltà coniugale - il dominio delle passioni . “Le roman c’est un miroir qu’on promène le long du chemin” (Stendhal). Il romanzo deve essere fedele alla realtà, deve essere una cronaca di vita, deve rispettare l’obiettività, noi vediamo i personaggi mentre agiscono e parlano, è poi il lettore che trarrà le conclusioni.
La struttura del romanzo è abbastanza informale, la protagonista parla in prima persona e quindi noi lettori siamo i diretti depositari del suo racconto che è fatto con garbo e con eleganza, senza orpelli di sorta. La lettura scivola veloce, non stanca, anzi incoraggia ad andare avanti per arrivare all’epilogo, val la pena leggerlo anche per i messaggi positivi che esso diffonde.
Semplicemente VITE. Le vite che si incontrano e si intrecciano sono quelle di persone che ognuno di noi potrebbe incontrare e che ruotano attorno alle due figure principali: gli psicoterapeuti Michela Scalzi ed Edoardo Zimmermann. Alcune sono persone problematiche, come Vittorio che, nel suo delirio psichico, vuole uccidere il demonio identificato nel vicino di casa, o Igor, che diventa alcolista, violento nei confronti della moglie e che viene portato in caserma e quindi presso il servizio di psichiatria del paese, cioè dalla psicoterapeuta Michela Scalzi. E sarà proprio Igor che farà riflettere la dott.ssa Scalzi, alla difficile ricerca di un armadio di un colore particolare, che “un armadio è un armadio e basta”, di qualunque colore esso sia, tanto da fare esclamare a Michela : “Mi sa che oggi tu sei il terapeuta ed io la paziente”.
C’è poi Agnese, una giovane ingenua che cade nella rete dei network, in quelle chat di un sito web dove l’hanno invitata a spogliarsi e ad assumere atteggiamenti provocanti. Ma questi video sono finiti nel web, visti da milioni di persone ed ora lei è disperata al punto di pensare di farla finita. Ed è Michela Scalzi che la salva da quel gesto disperato e che anzi le apre una nuova strada: lavorare come volontaria nella struttura psichiatrica e con lei al giornale.
Altra figura è Liù, la giovane sorellastra del dott. Zimmermann, che soffre di un disturbo depressivo maggiore per cui si imbottisce di psicofarmaci tanto che il fratello decide di portarla nella sua cittadina (Licata, perché il romanzo è ambientato in Sicilia) , dopo essere stata a lungo ospite in una REMS (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza). Coinvolta nel lavoro di redazione della rivista medica, comincia a diventare di nuovo padrona della sua vita. Agnese e Liù lavoreranno insieme alla rivista divenendo inseparabili nel lavoro e nella vita.
Completamente diversa e molto bella è la figura di Concetta, la donna che ha svolto la funzione di vice-mamma per Michela quando era bambina. Belli e struggenti i ricordi vissuti da Michela bambina a casa di Concetta: dalla frugale merenda con pane e zucchero al gradevole odore di cipolla fritta che si sprigionava quando Concetta preparava la cena. Una donna, una madre, una lavoratrice tutta d’un pezzo, come la maggior parte delle donne siciliane di una volta, che sanno soltanto donare a piene mani, donare di tutto: amore, attenzione, tempo, esempio, consigli ….. doni che Michela ricambia visitando spesso la sua sepoltura e parlandole a cuore aperto come se Concetta potesse ascoltarla.
Una figura a parte è quella di Vito Trefontane, imprenditore agricolo divenuto esperto di malattie mentali e quindi direttore della struttura psichiatrica dove lavora Michela. Bastano poche parole, però, per capire che Michela si pone in modo critico ed ironico nei suoi confronti ed anche nei confronti della non controllata proliferazione di strutture di assistenza per persone problematiche . “ Il mio caro direttore amava decidere del mio futuro lavorativo senza avere la minima intenzione di interpellarmi” oppure : “Pensai che il mio caro direttore godesse nel decidere della mia vita lavorativa senza darmi un minimo ragguaglio in tal senso”.
Ma le figure che io definisco due Titani sono naturalmente i due protagonisti: Michela Scalzi ed Edoardo Zimmermann. Perché Titani? Loro, psicologi, psicoterapeuti, devono fare i conti con la componente di ogni uomo e di ogni donna che difficilmente è controllabile: i sentimenti. Si sentono subito attratti l’uno dall’altra e viceversa ma …. con estrema lucidità, lottando in modo strenuo contro le occasioni che si presentano quotidianamente, rimangono, con grande sacrificio, ciascuno al proprio posto, facendo onore alla loro professione. A dir vero Edoardo cerca e trova una strategia per legarsi in modo stretto e indissolubile a Michela: le imporrà una società di tipo professionale fondando una rivista scientifica sulla disabilità mentale che gli consentirà di stare sempre a stretto contatto con lei . Ma questa stretta collaborazione si rivelerà presto inadeguata, anzi pericolosa, tanto che sarà lo stesso Zimmermann a capirlo e ad abbandonare: “Il forte senso di responsabilità ci impedirà di andare oltre” dice Edoardo. Perché sono dei Titani dunque? Perché scelgono di restare fedeli alla loro condizione affettiva e familiare. (Proprio in questi giorni ho letto una notizia interessante a proposito della fedeltà: il neuroscienziato colombiano Rodolfo Llinàs, direttore del Dipartimento di Psicologia e Neuroscienze dell’Università di New York, ha dimostrato che la fedeltà in amore è una caratteristica delle persone intelligenti, e così si esprime con una suggestiva metafora :”L’amore eterno è un ballo infinito di neuroni tra due persone intelligenti”). Penso che in entrambi, Edoardo e Michela, due persone senza dubbio molto intelligenti, prevalga la ferma convinzione che non si possa distruggere la famiglia già esistente ( lui con moglie e un figlio, lei con marito e due figli) per soddisfare una passione. Una scelta coraggiosa, controcorrente e, direi, intelligente! Ed è proprio la famiglia, quindi, che si rivela una vera e propria ancora di salvezza. Sarebbe una sconfitta per loro, loro che, per vocazione e per professione, devono aiutare gli altri a districarsi tra le impervie vie dei sentimenti, delle pulsioni, delle attrazioni, delle passioni, sarebbe una sconfitta cedere ai propri impulsi. D’altronde Michela è una eccellente professionista che riesce a far superare brillantemente i disagi ai suoi pazienti. Potrebbe sembrare un po’ passiva perché accetta tutto ciò che Edoardo decide, ma la sua è una accettazione responsabile e consapevole. Ciascuno poi continuerà la propria vita con la propria famiglia e quella passione riusciranno a trasformarla in una amicizia sincera, duratura anche a distanza, alimentata da una lettera mensile di Edoardo a Michela. Ha vinto l’Amore, l’amore con la A maiuscola, l’Amore per la famiglia, l’Amore che sublima ogni altro sentimento e che vince sempre . “Omnia vincit Amor”. (Publio Virgilio Marone- Le Bucoliche).
Mi piace riportare a questo punto la citazione che Michela fa del medico austriaco Hans Selye, ricordato per le ricerche sullo stress e sulla Sindrome Generale di Adattamento: “ Il segreto della salute e della felicità risiede nella capacità di adattarsi con successo alle condizioni eternamente mutevoli della vita. Il prezzo che si paga per gli insuccessi di questo grande processo di adattamento sono la malattia e l’infelicità”. E quale grande capacità di adattamento hanno avuto i due protagonisti che sono usciti indenni dalle lacerazioni psicologiche a cui sono stati sottoposti ! Ma ,direi che è anche un bel suggerimento per tutti noi!
Può sembrare, questa, una vicenda anacronistica, non adeguata ai nostri giorni. Oggi infatti esistono altri modelli di vita, non si pensa un solo istante ad abbandonare coniuge ed eventuali figli se si scatena all’improvviso un nuovo amore o una infatuazione. In una società come la nostra che il filosofo Umberto Galimberti definisce “atomistica, individualista, egoista”, prevale l’atteggiamento egocentrico ed edonistico, per cui ciò che conta è raggiungere a qualunque costo l’oggetto o la persona del proprio desiderio prescindendo dai danni che possono subire gli altri. E così si continua con estrema leggerezza a giocare con la vita altrui con le conseguenze che tutti conosciamo: disagio psicologico, uso di stupefacenti e di alcool, rimedi che per molti diventano il rifugio più scontato.
Concludendo (perché molte altre cose ce le racconterà l’Autrice), mi sento di affermare che questo romanzo, pur avendo per oggetto quella fetta della società che si deve confrontare col disagio mentale, lancia un bel messaggio positivo perché invita ciascuno di noi a farci guidare dal forte senso della ragione e dalla consapevolezza che non siamo isole ma arcipelaghi e che prima di pensare soltanto a noi stessi dobbiamo ricordare che abbiamo anche dei doveri verso chi sta al nostro fianco.
Grazie Loretta, dunque, perché, leggendo in modo gradevole e fluido il tuo libro, mi hai dato degli spunti di riflessione lasciando dei messaggi positivi, quei messaggi di cui abbiamo tanto bisogno oggi e che mi piace trasmettere a chi mi ascolta.
CENZINA OLIVERI TORRES